Un’eredità di terracotta

13 Agosto 2024

Spariva il sole dietro le case e noi correvamo all’ombra dei vicoli. Le voci e i passi amplificati dagli spazi stretti.

Per noi, che eravamo bambini, era un gioco mettere la testa dentro le case, dalle porte aperte guardare la vita degli altri andare avanti mentre noi le correvamo accanto. E c’era una porta in cui io mi fermavo sempre.

Era quella di uno dei tanti “bassi” del paese, piccoli laboratori e fornaci che producevano terracotte. Lì prendeva forma l’impossibile. Da una manciata di terra nasceva un piatto, un fischietto.

Lì c’erano uomini che della terra avevano lo stesso colore, che a piedi scalzi, in ogni stagione, spingevano la ruota del tornio in legno.

Piedi freddi, mani bagnate, sigarette accese. Dal niente riempivano il quotidiano di oggetti che portavano addosso la loro impronta. Quella porta affacciava su Rocco, che aveva pochi anni più di me e i giorni del tutto diversi. Con la pelle livida per il freddo, lui, i suoi fratelli, suo padre, davano vita ad un’incessante danza.

Li guardavo affascinato, si muovevano, toccavano, spostavano, modellavano, creavano. Di quel movimento senza sosta sentivo la fatica. Un giorno la vidi anche in lui. Curvo quando non avrebbe dovuto esserlo.

Qualche tempo dopo me ne andai, diretto verso un altro mondo, con gli spazi più grandi e le tradizioni più piccole. Lasciai sulle spalle di Rocco il peso della nostra eredità.

Tornai tanti anni dopo. Le stesse vie e lo stesso rumore di vite diverse. Rocco era ancora lì, senza padre né fratelli. Solo lui, un eroe senza nemmeno mantello.

Sulle sue spalle si è appoggiata la fatica di tutti quelli che non hanno voluto portarla. Mi ha detto “succederà”. E io so che cosa intendeva. Che un giorno quel peso lo farà diventare piccolo, troppo piccolo, e la sua porta chiuderà per sempre lasciando fuori tutti noi, la nostra essenza, il nostro dna. ​

E mentre con le mani bagnate e i piedi freddi regala una vita all’ennesima manciata di terra, forse l’ultima, capisco di avere una fortuna. Quella di potergli ancora dire grazie.

Guarda qui tutte le foto di questo articolo

Questo lavoro fa parte delle esercitazioni, Experience, che gli studenti fanno durante il PerCorso di formazione fotografica per viaggiatori. Si chiama Experience perché l’obiettivo è quello di far immergere i PerCorsisti su un proprio progetto fotografico e sul soggetto da loro scelto, per costruire così un racconto per immagini.

Non importa se è una persona o un luogo a loro caro. Durante la realizzazione, il fotografo lavora da solo ma con l’assistenza e il supporto continuo di Luciano Perbellini per stabilire la rotta e individuare assieme le situazioni da integrare, per completare al meglio il racconto.

Vuoi iniziare il PerCorso con me?

Clicca sul pulsante sotto e scopri lo Step C1 del mio PerCorso!

Condividi questo progetto!